Si presenta come poesia di grande
freschezza e spontaneità che, tecnicamente, si apre a
nuove e più immediate espressioni scegliendo forme non
chiuse e spesso brevi che abbandonano la forma del
poemetto con il suo statico scandire di endecasillabi.
L’autrice, questa volta, più che raccontare una storia
sembra voler esprimere direttamente ed apertamente
sentimenti ed emozioni condividendoli con il lettore.
Dal punto di vista metrico, infatti, i componimenti sono in
versi sciolti, salvo qualche occasionale assonanza, e sono
formati, oltre che da endecasillabi, anche da settenari e
quinari piani o sdruccioli che, a mio parere, con il loro
unico accento fisso sulla penultima o ultima sillaba
generano quell’effetto “franto”, “incompleto” che produce
la necessaria spezzatura ritmica e espressiva sottolineando
ulteriormente parole e concetti chiave.
Il linguaggio adoperato è sì semplice ma non certo
colloquiale o dimesso anzi presenta “intarsi” di sintagmi
linguistici, sia echi di altri poeti (come ad esempio
Pascoli, Leopardi, d’Annunzio, Montale) sia citazioni di
altre media poetici (canzoni, libretti d’opera) entrati nel
dire comune, ma in genere usati in senso antifrastico. Da
buon melomane mi piace citare “non vissi d’arte né vissi
d’amore” con evidente calco parodistico della celebre aria
della Tosca di Illica-Puccini.
Tematiche ed immagini, ovviamente, rimangono quelle in
tono “minore” già viste nelle altre raccolte della poetessa
ma espresse con accenti estremamente validi ed apprezzabili
soprattutto nei componimenti più brevi.