NESSUN È ALTRO – I POETI DI SMERILLIANA di KUNVAR NARAYAN a cura di Enrico D’Angelo

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Descrizione

Forse un modo per avvicinare súbito il lettore all’opera di Kunvar narayan è citare la definizione che della poesia egli stesso aveva dato nel prologo alle sue liriche pubblicate nell’antologia Terzo settetto (Tsira Saptak, 1959), dove affermava che essa è la «critica della vita». È questa l’ottica che ha caratterizzato la parabola letteraria del poeta indiano, che con Nessuno è altro (Koidusra nahin, 1993) esprime la sua nuova provvisoria maturazione artistica (provvisoria poiché la creazione poetica, come lui la concepisce, ha sempre il suo oltre e costituisce una perenne sperimentazione).

I cento componimenti (qui ne abbiamo una scelta di ventiquattro) hanno origini diverse e discoste nel tempo.

Anche favorito da una sicura agiatezza, narayan ha sempre fatto precedere le sue opere da lunghi periodi di gestazione, necessari a una profonda assimilazione del divenire storico, traendo nutrimento e ispirazione piú dalla realtà politica e sociale che dalle correnti letterarie a lui contemporanee, dalle quali, come solista del verso, si è volutamente tenuto in disparte. Mai pago della sua esistenza, Kunvar narayan vive l’incomunicabilità e lo strappo rispetto al reale col sentimento di solitudine e precarietà di chi ha imparato la propria inadeguatezza. l’inospitalità del suo mondo interiore riflette l’incompletezza del suo vissuto, e trasforma ogni attimo della sua vita in un’ipotesi mai verificata: perciò la nostalgia del presente (che s’insinua, annebbiandoli, anche tra i momenti di luce regalati dalle persuasioni fugaci dell’amore); perciò la funzione suppletiva del ricordo.

la dicotomia avvertita fra sé e il mondo soltanto di rado suggerisce al poeta la via dell’evasione o dell’annullamento. Antico e intenso è il suo legame con la morte (traumaticamente incontrata in giovane età) e con l’opzione del suicidio. ma se in precedenza tale rapporto si imponeva in modo drammatico e conflittuale ora si distende, e l’elogio della fine ha le parvenze di una certezza rassicurante piú che una credibile tentazione.

L’estraneità e l’isolamento hanno infine il loro rovescio nel desiderio dell’incontro, e l’opposizione di volontà e impotenza si risolve nel continuo tentativo, nel pervicace sforzo di esistere, nell’insistente ricerca di un’armonia dal respiro ecumenico, come fa intendere la mutabilità della voce poetante, oscillante senza posa dall’io al noi.

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