Descrizione
La poesia nasce come antidoto alla solitudine, al nostro precario stato di esistere, per tentare di scoprire le radici più autentiche di noi e dare un senso alla nostra presenza su questa terra.
I poeti non scrivono per gli altri, scrivono per se stessi, per interrogarsi e per trovare risposte che, sovente, escono incomplete o mancano del tutto. La poesia non ha mai cambiato né il mondo né, tantomeno, la storia. Essa vive di sé e per sé, e può solo spingerci a partecipare alla comune sofferenza, a condividere i pochi momenti felici, ad avvicinarci agli altri, partecipando con la nostra umanità e con loro confrontarci.
I santi, una volta, meditavano nel silenzio delle grotte o nella solitudine dei deserti, cercando Dio e se stessi. I poeti scrivono, spesso pregano, certamente sentono e
trasferiscono sulla carta parole che rappresentano sensazioni, desideri, delusioni, stati particolarmente felici o tristezze dell’anima. Ognuno può ritrovarsi in ciò che un altro scrive, oppure può restare a questo completamente indifferente. La poesia fa questo in massimo grado: può coinvolgerci nel profondo o risultare semplicemente e banalmente estranea al nostro sentimento. Come il pittore
usa i colori così il poeta usa il linguaggio; ma non un linguaggio “normale”, standardizzato, abusato o reso banale dall’uso, ma un linguaggio che si serve di
metafore, sinestesie, ossimori, allitterazioni e quant’altro; un linguaggio che costruisce “visioni” per comporle in una unità descrittiva che susciti ed attivi i sentimenti, le emozioni, la fantasia e il sogno. È un’altra terra quella della poesia, un non-luogo dove tutto è possibile e nulla è certo.
Ogni composizione poetica è così un modo di scendere nelle profondità del proprio animo, cercarvi i semi della luce o scoprirvi gli angoli più nascosti e oscuri, per
conoscere meglio, e prima di tutto, se stessi. In questo senso la poesia può nuocere principalmente a chi la scrive, perché può portare a galla e rivelare parti tenute nascoste, coperte da un pudore restio a manifestarsi nel dialogo con
l’altro che è in ognuno di noi, con lo specchio che non può fingere o alterare la nostra natura e la nostra verità, nascondendosi sotto il “velo di Maya” dell’ipocrisia o, peggio, della menzogna. In questo senso ogni poesia, specie se intimamente sentita, è una sorta di autoanalisi del sé narrante, una rivelazione, un dialogo mai
completamente risolto con la nostra parte più intima e profonda.
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